LE RAGIONI DEL TORTO Gabellini tra meriti e colpe
Difendersi attaccando. Rimane da dimostrare che sia una strategia vincente. E’ peraltro indubitabile che costituisca l’unica (e anche l’ultima) risorsa alla quale, come un pugile quasi groggy, ci si affida quando si è chiusi all’angolo e si deve subire impotenti un’autentica gragnuola di colpi. Così ha fatto Gabellini, con l’uscita estemporanea che, oltre ad anticipare l’abbandono a fine campionato (ma non ci ha sorpreso, ché era nell’aria), ha destinato montanti avvelenati a destra e a manca, scatenando una sorta di tutti contro tutti che era l’ultima cosa di cui aveva bisogno in questo momento una squadra che, prigioniera di deficienze tecniche, tattiche e caratteriali, ha ormai paura pure di se stessa. Al di là dei tempi (al limite del masochismo) e dei modi (censurabili anch’essi), andiamo alla sostanza del discorso, che, analizzato senza pregiudiziali, presenta elementi che depongono a favore del patron granata frammisti ad altri che lo vedono decisamente dalla parte del torto. Ha ragione il presidente quando lamenta di essere stato lasciato solo a reggere le sorti del club. Ma è altresì storia vecchia come il cucco che l’imprenditoria fanese preferisca stare alla finestra ad osservare chi fa piuttosto che proporsi in prima persona. Vedremo a tal proposito se i soliti noti sapranno finalmente farsi avanti la prossima estate, che si annuncia sin d’ora torrida, più che calda. Stentiamo però a credere che con tutte le conoscenze che gli derivano dai suoi diversificati affari in sei anni il boss non sia riuscito a coinvolgere nel progetto nemmeno un personaggio locale, delle vicinanze o foss’anche di Canicattì. Viene il fondato sospetto che a trastullarsi con il giocattolo volesse essere unicamente lui. Non ha poi torto nel denunciare una certa latitanza da parte delle istituzioni. D’accordo che non è compito di chi ci governa intromettersi nella gestione del sodalizio calcistico ma, perbacco, un minimo di sensibilità in più in vista della grande sfida della Legapro avrebbe ad esempio consentito di trovare in città un campo d’allenamento come si comanda, da reperire tra Sant’Orso, Bellocchi, Cuccurano, Don Gentili ed un ‘Militari’ rimesso in sesto in tutta fretta. Per non parlare di un ‘Mancini’ cui urgono ritocchi estetici (la facciata quasi quasi ci offriamo di tinteggiarla noi, personalmente e a nostre spese) e di contenuto, quali tra le altre cose una sala-stampa degna di questo nome. Non invidieremmo tuttavia nulla a chi, al di la del Fosso, per realizzare le proprie magnifiche sorti e progressive ha puntualmente approfittato del contestabile ruolo di capoluogo fagocitatore di risorse e della non meno esecrabile esistenza di gruppi di potere politico-finanziari il cui ultimo parto è la truffa legalizzata dell’ospedale unico a Muraglia. Ha meno ragione Gabellini nel minimizzare gli errori fatti in sede di scelta dello staff tecnico e di approntamento dell’organico. Il campo è specchio impietoso degli sbagli compiuti e le ristrettezze economiche, il ritardo nella partenza, l’inesperienza sono alibi fin troppo comodi dietro cui si celano mancanze oggettive. Concordiamo con lui infine sulla necessità di fare di tutto (ma sin da subito e in modo credibile) per conquistare una salvezza che sarà la base imprescindibile per tentare di costruire un futuro diverso. Lo deve in primis alla propria coscienza, se non ad una piazza tanto vituperata. Poi potrà andarsene liberamente. Del resto, quando finisce un amore ci si lascia senza troppi rimpianti. Da entrambe le parti.