UNA CARRIERA DA OSCAR
La scomparsa di Castellini
Gridelli, Castellini, Tamboli, Neri, Silvestri, Diotallevi… Per i tifosi granata, giovani o anziani che siano, è una sorta di decalogo pagano. Mandato a memoria con sacro rispetto e devotamente trasmesso da una generazione all’altra nei secoli dei secoli. Si tratta dell’incipit dello squadrone che nel torneo 1955-’56 si rese protagonista delle trionfale cavalcata culminata da ultimo nella mitica, epocale ‘calata dei Mongoli’ di Perticara. Al secondo posto nell’elenco degli eroi figura ‘Castlìn’, spentosi qualche giorno addietro. Come per altri giocatori cresciuti nel vivaio, anche per lui fu quello il momento topico di un’intera carriera spesa al servizio della causa dell’Alma Juventus. Un’esperienza che ha praticamente attraversato tutti gli anni ’50, interpretata da par suo e sempre da protagonista, con esuberanza, dedizione, capacità tecniche e doti morali. In una parola, un modello da imitare per i molti che gli furono compagni di squadra nella lunga parentesi vissuta al vecchio, caro ‘Borgo Metauro’, divenuto nel tempo quasi una sua seconda casa. Era un terzino a suo modo già moderno il nostro, nel senso che non si dedicava solo alla marcatura dell’ala avversaria con puntiglio e applicazione ma era anche capace di proporsi sulla fascia di competenza con formidabile ardore e indefesso agonismo. Il prototipo ante litteram del fluidificante attuale, insomma. E a forza di correre su e giù per il campo, non poté più tardi esimersi dall’accorrere alla chiamata del club che lo volle allenatore all’alba degli anni ’70. Ora non è più. Ma è come se fosse ancora. Lì, a dannarsi l’anima dietro a tutti i palloni, alitando fieramente sul collo di ogni rivale, trascinando i suoi con la forza dell’esempio. Perché le bandiere autentiche non si ammainano mai. E continuano idealmente a sventolare in eterno, garrendo al caldo vento della nostra fede.